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Livellamento

Livellamento

Questo è un articolo che parla di disabilità, inclusione e opportunità legata al mondo lavorativo.

Un piccolo esperimento sociale per farci riflettere in merito a come pregiudizio e opportunismo elevino talvolta muri invalicabili.

Per iniziare ti chiedo di immaginare un contesto lavorativo aziendale nel quale l’obiettivo sia l’elaborazione di idee e soluzioni progettuali in ambito design di interni, generando proposte funzionali e stilistiche da sottoporre al cliente.

Ora immagina di trovarti di fronte a due persone operanti in questo contesto, delle quali una viene definita nell’immaginario collettivo come “Disabile” mentre l’altra “Normale”, andrò brevemente a descriverle assegnando loro due sigle.

La persona a cui affideremo la sigla “D1” appare simpatica, parla, racconta, sorride, purtroppo è carente, talvolta pesantemente, di tutto ciò che riguarda altre abilità come capacità di calcolo, competenze tecniche, informatiche, presenta capacità nel disegno a mano libera ma non è in grado di elaborare un progetto attraverso strumenti tecnologici digitali moderni.

La persona che chiameremo “N2” risulta anch’essa simpatica ed eloquente, formazione e pratica le hanno permesso di saper utilizzare strumenti informatici moderni per la presentazione di progetti, essendo in grado di esporre al cliente una soluzione progettuale in modo evoluto e accattivante.

Una di queste persone presenta disabilità, non è infatti in grado di svolgere al meglio delle proprie possibilità la mansione richiesta in quanto sopraffatta dalla tecnologia ed una serie di lacune ulteriori.

Ora inizia un breve racconto al termine del quale vorrei provassi a rileggere l’inizio dell’articolo sino a questo punto, nel frattempo ti chiedo gentilmente di annotarti quale riterrai possa essere la persona disabile prima di proseguire nella lettura, sulla base della descrizione fornita, D1 oppure N2.

Chiunque abbia lavorato in contesti aziendali si sarà reso conto quanto diffuso sia il clientelismo, la raccomandazione e di conseguenza l’inserimento di persone poco qualificate in contesti di lavoro che richiederebbero, al contrario, buone capacità iniziali e apertura verso un percorso di crescita realizzabile attraverso il miglioramento costante di competenze professionali e tecnologiche.

Nella società quotidiana è consuetudine diffusa assistere al familiare prendere il figlio per le orecchie ed accomodarlo agevolmente in una realtà aziendale, bypassando una selezione organica fatta di colloqui, portfolio e concorrenza meritocratica.

Riteniamo abituale trovare individui posti in ruoli lavorativi senza possederne piena competenza, voglia di migliorarsi, prive dello stimolo a porre in discussione il proprio metodo operativo con il rischio di risultare poco abili.

Individui poco interessati ad agevolare scenari di crescita delle abilità professionali ed umane a favore del gruppo di lavoro e dell’azienda stessa.

Situazioni comuni e diffuse in svariati ambiti lavorativi, di fronte alle quali tendiamo a recriminare pur rimanendo noi stessi passivi e incapaci di proporre un miglioramento, sia per paura, pigrizia o altre motivazioni marginali.

La chiave che intendo proporti è quella di leggere tali situazioni come occasioni da indirizzare a favore del cambiamento, cogliendo opportunità di crescita, merito e concretezza da proporre nel mercato lavorativo con conseguente risvolto sociale.

Per anni ho avuto la fortuna di lavorare spalla a spalla con numerosi colleghi, ognuno chiaramente con la propria impostazione professionale, personale, attitudinale, per ricavarne l’idea che la differenza tra una persona definita disabile a svolgere una mansione ed una definita normale ed abile a svolgere una professione non sia sempre così accentuata come siamo portati a credere.

Certamente, sarebbe inopportuno nasconderlo, situazioni quali sindrome di Down oppure disturbi dello spettro autistico tracciano generalmente condizioni di svantaggio competitivo in ambito lavorativo, ma tali situazioni vengono amplificate dal pregiudizio e assenza di volontà nel dare fiducia ad una persona brutalmente catalogata disabile che, indubbiamente con qualche difficoltà iniziale, può mettere in atto un percorso di crescita per arrivare ad essere risorsa concreta e appetibile a diverse realtà aziendali.

Mi sono interrogato quanto sia reale o presunta questa differenza assistendo a svariate situazioni, con persone alle quali sarebbe stato necessario un salto di qualità ed un cambio di mentalità per evolvere professionalmente, ma demotivate, a casi limite dove lo sbigottimento di assistere a livelli di incapacità e impreparazione poneva grandi riflessioni, chiedendomi quanto realmente fossero abili per la mansione loro assegnata.

Colleghi inabili ad utilizzare strumenti quotidiani utili alla professione come supporti tecnologici basilari e strumenti progettuali moderni agevolanti del lavoro da svolgere, improvvisazione nella gestione di dati informatizzati e conoscenza pressoché nulla delle possibilità date dalle nuove tecnologie, eppure posti in ruoli aziendali di riferimento senza l’attitudine ad un miglioramento utile a rendere più efficace e sicuro il flusso di lavoro personale ed aziendale.

Ancora, colleghi con una spiccata empatia verso il cliente, al quale ricamare storie per catturarne la fiducia ed accompagnarlo alla vendita, senza trovare un riscontro di preparazione tecnica nella fase realizzativa in quanto inabili e impreparati a condurre il percorso progettuale in modo autonomo, ricorrendo al supporto di persone specializzate.

Eppure, persone considerante pienamente abili, capaci, preparate e stipendiate come tali.

In questo contesto ritengo possa esservi una grande opportunità per ragazzi disabili, con sindrome di down e disturbi dello spettro autistico per specializzarsi in determinate aree specifiche, unendo competenze informatiche a quelle progettuali e diventando figura di appoggio per i colleghi presunti abili che necessiteranno del loro supporto, instaurando un rapporto professionale paritario dove le difficoltà di uno possano coniugarsi con le specializzazioni dell’altro.

Opportunità che vanno create attraverso un percorso formativo graduale, individuale e personalizzato con l’insegnamento di strumenti progettuali moderni, per inserirsi nel grande numero di contesti aziendali dove attualmente la capacità di padroneggiare tecnologie all’avanguardia non ha avuto seguito e difficilmente avrà successo senza l’aiuto di una figura di supporto.

Concretamente, come intendo predisporre un percorso formativo per persone disabili atto a trasmettere loro queste abilità?

Saranno necessari diversi incontri preliminari, accompagnati dal genitore o tutore del ragazzo o ragazza, per instaurare un rapporto basato su fiducia e interesse verso le materie che andremo ad introdurre, fino alla decisione di iniziare il percorso perfezionandone dettagli, ore dedicate, modalità.

Le materie che verranno affrontate durante le lezioni saranno di tipo tecnico pratico, introducendo il ragazzo o ragazza alla rappresentazione digitale tramite strumenti CAD, allo sviluppo e navigazione in realtime di progetti 3D per il settore interior design ed architettura con possibilità di intervenire applicando materiali, finiture, accessori, fino alla organizzazione e gestione multimediale dei vari files di progetto da esporre al cliente durante la fase di incontro.

Da conoscitore pluridecennale di queste tecnologie posso dire che non siano affatto semplici da imparare e rendere proprie per utilizzo professionale ma, predisponendo determinate condizioni di lavoro, organizzando il materiale da esporre e aiutando la persona disabile nel percorso di preparazione all’esposizione del progetto, essa potrà condurre l’incontro con il cliente in collaborazione con la figura professionale dell’architetto oppure interior designer, per un supporto efficace alla comprensione della soluzione progettuale che il cliente finale non potrà che apprezzare.

La figura formata risulterà appetibile ad aziende del settore, porterà un tipo di competenza non comunemente diffusa nelle realtà di progettazione di interni e studi di architettura, dove frequentemente il progetto viene esposto attraverso elaborati di basso livello e poco comprensibili al cliente, ed avrà possibilità di inserirsi e migliorarsi acquisendo nozioni per accrescere la propria professionalità.

Unitamente alla possibilità di crescita personale e lavorativa, la persona acquisirà maggiore fiducia e convinzione di poter competere con le proprie capacità, sfruttando il basso livello di preparazione informatica e multimediale tuttora diffuso in molte realtà aziendali, permettendo alla persona disabile di emergere e posizionarsi in una posizione paritaria, fornendo un servizio utile e tecnologicamente avanzato.

A breve inizieranno incontri sperimentali con persone disabili, nelle quali avrò modo di verificare l’effettiva possibilità di sviluppo del percorso appena esposto e valutarne metodologia ed efficacia, ti invito a tornare presto su questo blog per leggere gli aggiornamenti in merito.

Per concludere è arrivato il momento di analizzare la tua annotazione iniziale in merito a quale fosse la persona disabile.

Posso rivelarti che la persona identificata con la sigla “D1″

carente, talvolta pesantemente, di tutto ciò che riguarda altre abilità come capacità di calcolo, competenze tecniche, informatiche, presenta capacità nel disegno a mano libera ma non è in grado di elaborare un progetto attraverso strumenti tecnologici digitali moderni

non è quella comunemente definita disabile, bensì una persona realmente esistente ed operante nel settore, talmente sprovvista di competenze basilari e capacità di utilizzo di strumenti moderni, da risultare inadeguata. Una persona normale, per definirla come farebbero le stesse persone normali.

Al contrario, la persona comunemente definita con pregiudizio disabile e identificata con la sigla “N2” è colei per la quale

lo studio e la pratica le hanno permesso di utilizzare strumenti informatici moderni per la presentazione di un progetto, essendo in grado di esporre al cliente una soluzione progettuale in modo moderno e accattivante.

Persona che è stata formata e preparata per risultare vera risorsa, facendo scoprire alle aziende che avranno acconsentito all’inserimento sperimentale di essa una figura professionale determinante, alla quale fare affidamento per una crescita reciproca ed un servizio di cui non si riteneva avere necessità.

Grazie per il tuo tempo!

FB